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Settimanale indipendente fondato e diretto da Donato D’Auria. Registrato presso il Tribunale di Torino il 7 ottobre 2011 n. 64

Ciclismo

Primi giorni imprevedibili al Tour De France

09 luglio 2015

Primi giorni imprevedibili al Tour de France

Le Havre – Le Havre è una città famosa essenzialmente per tre cose: il porto (fondato nel ‘500 da Francesco I per controllare il Canale della Manica), il calcio (il Le Havre è la squadra più antica di Francia) e per il centro città, riconosciuto dall’Unesco patrimonio dell’umanità per le sue architetture contemporanee. Tra le cose da dimenticare, invece, c’è il caffè, che io è il mio compagno di viaggio Gigione Magnani abbiamo provato a prendere al ristorante di oggi, sperando di bere qualcosa di simile ad un vero caffè. Oggi, tuttavia, Le Havre è celebre anche per l’arrivo della sesta tappa del Tour, che probabilmente si risolverà allo sprint, visto che in gruppo c’è una grandissima voglia di respirare dopo un inizio davvero scoppiettante che ha tenuto incollati al televisore migliaia di telespettatori, che con la loro fiducia rinnovata al grande ciclismo stanno rendendo il Tour l’evento sportivo più visto di quest’anno, data l’assenza di Olimpiadi e Mondiali di calcio, unici capaci di superarlo.  Numeri televisivi a parte, questo inizio di Tour è stato spettacolare, grazie anche al durissimo percorso disegnato da Prudhomme e dai suoi, mai scontato e banale. Chi, di sicuro, sarà contento di questo inizio è Chris Froome, secondo della generale alle spalle del tedesco Martin. Froome, nonostante una cronometro iniziale un po’ deludente, ha fatto benissimo nella seconda e nella terza tappa, dato che nella prima ha tolto un minuto e mezzo a Nibali e Quintana compiendo un vero e proprio colpo di mano con la collaborazione della sua squadra, la Sky, della Tinkov di Alberto Contador e della BMC di un finalmente maturo Teejay Van Garderen, che vuole vincere il Tour per far dimenticare all’America che va in bici la delusione morale Lance Armstrong. Sulla tappa che arrivava, invece, sul mitico Muro di Huy Froome ha fatto un vero e proprio capolavoro, arrivando secondo (alle spalle di un Purito Rodriguez magistrale e finalmente ritrovato) nonostante un rapporto alquanto agile che su una salita come quella, breve ma durissima, metterebbe in crisi il 99,9% degli stessi professionisti. Sulla tappa in pavè, invece, l’inglese nato in Kenya è stato bravo a difendersi, non perdendo niente di ciò che aveva guadagnato né da Nibali, mal assistito dalla squadra, né da Contador, che sta pagando già ora le fatiche del Giro, né da un Quintana che barcolla ma non molla aspettando le montagne. Per quanto riguarda il discorso outsiders, propongo ai miei quindici lettori che seguono il ciclismo sette nomi: il primo è quello di Rigoberto Uran, che dopo aver sfruttato il Giro come allenamento è rimasto sempre davanti in questi primi giorni, il secondo è quello del già citato Van Garderen, il terzo è quello dell’altro citato Rodriguez, il quarto quello del sornione ma sempre presente quando conta Valverde, gli ultimi tre sono il mio tris per quanto riguarda le speranze francesi:Peraud, Bardet, Barguil. I primi due erano ampiamente attesi, mentre il terzoè al primo Tour, ma ha fatto tesoro dell’esperienza accumulata nelle due Vuelte di Spagna corse benissimo, e sta dirigendo la sua Giant-Alpecin più come un Herbert Von Karajan che come un novellino. Infine, chiudo il mio reportage per questo settimanale, che ha aperto la sua pagina sportiva proprio con un articolo sul Tour, ricordando i caduti del terzo giorno, eroi a concludere nonostante le vertebre rotte, come Cancellara, e le polemiche per un giusto stop alla tappa e Thibaud Pinot. Grande speranza francese alla partenza, ha già perso sei minuti. Speriamo che, come il vino di cui è omonimo, riesca a maturare giorno dopo giorno, almeno per vincere una tappa. Luigi M. D’Auria

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