Ascoli Satriano (Foggia) – L’edizione numero novantuno di Wimbledon, quella del 1977, fu molto importante per il tennis mondiale. Quell’anno, infatti, il pubblico assistette al secondo successo consecutivo di Bjorn Borg, che dimostrò così di essere il numero uno del mondo anche sulla superficie a lui meno congeniale, l’erba.
Il pubblico londinese, tuttavia, ebbe anche modo di vedere l’esplosione ad alti livelli di un ragazzino americano con i capelli ricci raccolti in una fascia rossa della Sergio Tacchini, già conosciuto dagli addetti ai lavori sia per il suo talento che per le sfuriate che lo contraddistinguevano già dai tornei juniorea: John McEnroe. Quel diciassettenne, allora un anonimo duecento del mondo partito dalle qualificazioni, riuscì ad arrivare in semifinale, dove fu sconfitto solo da Jimmy Connors, in seguito suo grande rivale soprattutto dal punto di vista personale, dato che i due campioni non si sopportavano e non facevano niente per nasconderlo, dato che in campo i loro caratteri forti, per usare un eufemismo, li spingevano al reciproco insulto.
A questo punto occorre porsi una domanda. Chi è stato John McEnroe per tutti gli sportivi che lo hanno visto calciare i campi da tennis e vincere partite su partite con i suoi colpi potenti e soprattutto con un serve and volley considerato dai più inimitabile. Per qualcuno è stato un campione di livello eccelso, capace di incollare tutti al televisore con interminabili match che lo vedevano opposto ad altri campioni come Borg, Connors e anche il nostro Panatta. Per altri è stato un’icona di stile che ha cambiato il tennis, mentre per altri è stato semplicemente un viziato “Superbrat” (super moccioso, soprannome con cui era noto presso il grande pubblico e i tabloid inglesi, che non lo sopportavano) che non sapeva perdere e che ha basato la sua fama su comportamenti da saloon che non hanno niente a che vedere con il vero sport.